CIRUZZO SE N’È LAVATO LE MANI, L’ACQUA GLIEL’HANNO BENEDETTA PALUMBO E RENZI
Sua Eccellenza Ciro Miniero le Sacre Scritture le conosce bene. Lui, da Vescovo, le conosce così bene che ad interpretarle ci mette poco e spesso, talmente preso, si cala anche nella parte. Il ruolo di Ponzio Pilato a quanto sembra è quello che gli riesce meglio.Me la immagino la sua faccia, appena ricevuta la notizia del comizio in Basilica di Renzi, attonita e meravigliata. Poi, come se nulla gli riguardasse, lesto ad impartire il solito ordine al povero Vicario Generale; spolverargli lo zucchetto per la passerella dell’indomani.
Perché il Vescovo Miniero non solo non ha sbraitato per la “beffa” della concessione alla Borsa trasformatisi in discorso politico, di più, lui il giorno dopo è andato anche ad inaugurarla, la Borsa, tra mani strette e fotografie sbandierate. Lui d’altronde a mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi ci è abituato. Al Delfino del Cardinale Sepe la Diocesi di Vallo della Lucania sta stretta. Lo ha dimostrato a Salento dove ha cambiato parroci come pedine di una scacchiera tra le rivolte popolari, oppure ad Acciaroli, quando il prete è scappato senza dire la Santa Messa per la sgradita presenza di qualche fedele “antipatico”. Lui queste cose non le ha nemmeno considerate. Si è voltato dall’altro lato nella vana attesa che qualcuno si ricordasse di lui nominandolo almeno cardinale. E andrebbe anche bene la cosa se non fosse che passare da “struzzo” a “str…zo” basta un attimo. Giusto il salto di una parola.
Al “povero” parroco invece, Padre Johnny, nessuno può dirgli niente. Lui in effetti la parte dell’indiano la sa fare bene. Afflitto dal tormento suscitatogli dall’insolita “invasione” è rimasto impietrito, proprio come si resta in una fotografia con Matteo Renzi. Con i denti scintillanti e l’espressione allegra.
E se di Ponzio Pilato si parla, un ruolo, all’interno di questa rappresentazione della “Passione Democratica”, bisogna trovarlo anche a chi inopportuno lo è stato più di tutti. Non si tratta infatti di sacrilegio o blasfemia, piuttosto di essere inopportuni. Virtù negativa che di certo non si è sottratta alle strumentalizzazioni politiche di chi, probabilmente, della Basilica “profanata” importa poco. Mi viene da pensare ai gruppi pro-Salvini (fa già più scandalo vedere loro al Sud che Renzi) che se hanno tanto cari i precetti cristiani dovrebbero rinnovarsi invece di restare ancorati alle invettive in voga all’epoca delle Crociate.
Strumentalizzazioni però che sono state accompagnate anche dall’indignazione vera, quella di chi ai veri valori cattolici e alla sacralità dei luoghi dà ancora una discreta importanza. Insomma quelli che, praticanti o meno, ne invocano l’apertura a tutti. Ascoltare dal pulpito le parole di Renzi significa acconsentire anche ai “vaffanculo” di Grillo e alle battute squallide di Berlusconi di pronunciarsi dall’altare. Così come tanti altri esponenti politici. Significa infatti, ribadire l’uguaglianza di ogni partito o movimento politico, significa sottolineare semplicemente l’uguaglianza di ogni uomo. E l’uguaglianza non è soltanto sentirsi dire gli stessi sì ma ascoltare anche gli stessi no.E questo bisognava fare usando rispetto ed umiltà.Invece no, l’arroganza e la costante ricerca di visibilità l’hanno fatta da padrone.
Il Sindaco Franco Palumbo (accompagnato del Direttore della Borsa e da ciò che resta del partito cittadino) si è vestito da Giuda condannando alla croce l’unico “Cristo” che forse in quell’occasione c’entrava meno di tutti. Il Segretario del Partito Democratico. Certo, a lui l’egocentrismo da protagonista non manca e la croce l’ha trasportata più che volentieri sulle spalle, tra la platea di politici e politicanti accorsi per i selfie.
Scuse infine non ce ne sono state. Chi doveva farle ha accompagnato i goffi tentativi di giustificazione con lo sventolìo di trenta denari utili per realizzare un sottopasso.
Come se soltanto a pronunciarle, al Sindaco, le cinque lettere che compongono il vocabolo scusa, potrebbero bruciare la gola e rompere l’aura di adorazione che lo avvolge.
Non ci stupisca la sceneggiata che ha fatto ridere tutt’Italia, un po’ meno i territori tra il Sele e il Solofrone, dove il riso sul volto dei suoi abitanti si è posato più amaro che dolce.
Al Vescovo però la vicenda interessa relativamente. Paestum è una satrapia troppo lontana nell’impero di Ciro il Napoletano. Pasquale Quaglia
FOTO ARIOSTO GNAZZO