IL VIGILE DEL FUOCO CHE SALVO’ LA SINDONE DICHIARA OGGI, A DISTANZA DI 25 ANNI DA QUELLA TERRIBILE NOTTE, CHE HA RAFFORZATO LA SUA FEDE ED ORA SOGNA DI PROGETTARE UNA CHIESA

Mario Trematore ricorda, in questa intervista, il drammatico incendio che devastò il Duomo di Torino nella notte tra l’11 ed 12 aprile del 1997
Sono passati 25 anni. Era la notte tra l’11 ed 12 aprile 1997 e quel venerdì il cielo di Torino si tinse di rosso. Lingue di fuoco si stagliavano sopra i tetti di Palazzo Reale e del Duomo. In pochi minuti intervennero oltre 150 pompieri. Sembravano volteggiare, mentre salivano le scale delle autopompe nella speranza di domare un rogo che stava mettendo a rischio uno dei patrimoni culturali della città. La cappella del Guarini era in ristrutturazione e le fiamme stavano sgretolando la cupola. All’ombra di quelle volte marmoree, in una teca antiproiettile, era custodita la Sindone, simbolo della cristianità. L’immagine del vigile del fuoco con il volto trasfigurato dalla paura e dalla fatica, che mette in salvo il sacro lino, fece il giro del mondo. Quell’uomo si chiamava Mario Trematore ed un quarto di secolo più tardi non indossa più la divisa e dichiara che anche se è in pensione, gli è difficile dimenticare quella notte. In questo lungo periodo sono state dette e scritte molte cose, in merito a quel salvataggio, ma sia lui che i suoi colleghi sanno di aver fatto solo il loro lavoro. Avevano paura. C’erano un caldo infernale e dei rumori terrificanti. Sapevano che stavano rischiando la vita. Quando gli si chiede di partire dal racconto di quella notte, lui comincia dicendo che era a casa con sua moglie e non era in servizio. Abitano sopra la Gran Madre da 40 anni e fu lei a vedere dalla finestra l’incendio. Lui chiamò in caserma e gli dissero che era scoppiato un rogo tra Palazzo Reale ed il Duomo. Indossò una vecchia giacca di montagna, la quale aveva sul braccio lo stemma dei pompieri, e corse subito in aiuto dei colleghi. Quando gli si chiede in che lasso di tempo si erano resi conto che la Sindone era in pericolo, lui risponde che il rischio era rappresentato dal crollo della cupola del Guarini. Cadendo, i blocchi di marmo, avrebbero mandato in frantumi la teca, che a quel punto sarebbe andata distrutta. Così lui si precipitò dal suo comandante, Michele Ferraro, e gli disse che se non l’avessero portata via, il mondo li avrebbe additati come Giuda. Il comandante gli rispose di fare quello che lui riteneva più opportuno. E così entrarono in Duomo, con le mazze spaccarono la teca, afferrarono lo scrigno di legno ed argento ed uscirono in tutta fretta. Fu un’emozione indescrivibile. Quando gli si fa notare che in rete c’è una foto che lo ritrae con mlo scrigno della Sindone sulle spalle e che quell’immagine ha fatto il giro del mondo e che lui è diventato un eroe, lui preferisce negare ed affermare che non c’è stato nulla di eroico. In quei momenti si pensa solo a dom,are il fuoco e non a morire. Ma lui conosceva il valore del sacro telo. All’Università aveva dato un esame sul percorso laico e religioso del barocco torinese. Ricorda che andò in duomo allo scopo di fotografare la Sindone. Ovviamente non fu possibile e così gli consigliarono di compare delle fotografie. Acquistò delle diapositive e le ha ancora. Per questa sapeva quanto fosse importante salvarla. Non soltanto per il suo valore religioso, ma anche per quello storico-culturale. Quando gli si fa notare che i pompieri sono sempre eroi nell’immaginario collettivo, lui afferma che la vocazione dei vigili del fuoco è salvare le persone. Lui decise di indossare la divisa perché da bambino la sua famiglia rimase coinvolta in un incendio. Porta ancora le ferite su una gamba. Era piccolo, non ricorda molto, ma la sua mamma gli raccontò che sua sorella morì nel rogo. Quell’evento lo ha spinto a fare il pompiere e così, a 20 anni, è entrato nel corpo. Quando gli si fa notare che dopo l’incendio è stato descritto come un ateo che ha scoperto la fede grazie a quell’evento, lui afferma che sono tutte frottole, non è mai stato ateo. Dissero anche che era un sindacalista, ma neanche quello era vero. Ha sempre avuto una sua religiosità, ispirata al Vangelo. Però è vero xhe qualcosa è cambiato. Quando gli si chiede se ne è nato un cammino spirituale, lui risponde affermativamente, aggiungendo che si tratta di un percorso interiore. C’è differenza tra credenza e fede. La credenza è un aspetto culturale, la fede è invece la certezza che quello per cui preghi avviene.
Lui ha seguito un percorso, ma non è diventato un santo come qualcuno potrebbe pensare. Ha formato un gruppo che si chiama Mandylion che in greco antico vuol dire lenzuolo, come la Sindone. Si incontrano una volta al mese, la loro guida spirituale è un padre della consolata, Fabio Malese. Toccano molti temi spirituali, dalla preghiera alla concretizzazione dell’amore divino. Al termine di ogni incontro, si fermano per condividere il cibo preparato da ciascuno di loro e per donare un’offerta da destinare a chi ne ha bisogno. Con il loro contributo sono stati realizzati una scuola nel Benin ed un centro odontotecnico in Palestina. Quando gli si chiede se va spesso in Duomo, lui risponde con un’esperienza che lo ha visto protagonista. Due anni fa si è ammalato di cancro, per 14 mesi ha dovuto sottoporsi a chemioterapia. E’ stato difficile ed ha sofferto molto. Ha conosciuto tante persone in ospedale, alcune purtroppo sono decedute. Con altre ha ancora contatti ed ogni tanto gli chiedono di accompagnarlo a pregare. Lo fa sempre volentieri, lui stesso sente il bisogno di pregare dove è custodita la Sindone. Quando gli si chiede da quanti anni è in pensione, lui risponde da venti. Gli anni in divisa sono stati impegnativi, ha affrontato alluvioni e terremoti, toccato con mano la sofferenza delle persone. Quando la gente fugge, chiede ai vigili del fuoco di recuperare gli oggetti di valore in casa. Ma gli anziani, a differenza dei giovani, desiderano le fotografie, perché quegli scatti sono la loro memoria. Per questo piange quando pensa agli ucraini, perché Putin sta cercando di cancellare la memoria di un popolo. Se lui potesse, indosserebbe la divisa e correrebbe lì ad aiutare. Quando gli si domanda cosa fa oggi, lui risponde che è un architetto e progetta la ristrutturazione di alloggi. Del resto, è il lavoro per il quale ha studiato. Si è laureato mentre era nei vigili del fuoco. Il suo sogno consisterebbe nel progettare una chiesa. Quelle che vengono costruite ora sembrano delle rimesse. Non sa se ne avrà mai l’occasione, e soprattutto il tempo. Quando gli si chiede se quel giorno di 25 anni fa è stato il più bello della sua vita, lui risponde che è stato, indubbiamente, un giorno importante, che lo ha segnato. Ma il giorno più bello è stato l’8 giugno 1982. Anche allora era in chiesa, ma attendeva la sua futura moglie sull’altare. Quando vide entrare Rita pensò quanto lei fosse bella e lui fortunato. Quello è stato il giorno più bello. Ma non dimentica quando è nata sua figlia. Guido Honorati Broggi