PAULO SOUSA NON SOLO UN ESONERO MA UNA SCONFITTA
Non è solo un esonero, quello di Paulo Sousa. E’ una sconfitta: per le ambizioni di un allenatore, di una squadra, di una società, di una piazza. E’, anche alla luce delle strategie e delle decisioni adottate di recente dalla proprietà del club, un ridimensionamento di fatto.
Si interrompe – bruscamente e prematuramente – un rapporto di lavoro, tra il trainer portoghese e la U.S. Salernitana 1919, ma soprattutto un processo di crescita, imperniato anche su una guida tecnica di calibro internazionale.
Un processo di crescita che già aveva registrato, per la verità, battute d’arresto prima del ritiro precampionato di Rivisondoli, tra fiducia incrinata, reciproca sopportazione, frizioni irrisolte, promesse disattese, investimenti lesinati (anche – resto di quest’avviso – per i legami conflittuali tra i vertici del sodalizio granata e quelli di Comune e Regione Campania sulle vicende stadio Arechi e centro sportivo).
Asticella degli obiettivi, dunque, collocata più verso il basso che l’alto; profili dei rinforzi sul mercato più orientati verso le scommesse che le certezze. Rotta di collisione inevitabile, tra le parti. Prima a parole e poi nei fatti: da un lato Iervolino che nicchia e De Sanctis che s’arrabatta; dall’altro Sousa che sbotta. Ultimi mesi a guardarsi senza dialogare, un po’ come quelle due facce, separate da un muro, della calzante coreografia della Curva Sud Siberiano in occasione dell’ultima partita all’Arechi contro l’Inter.
Il tecnico, assurto a guida ideale non solo di un gruppo di giocatori ma di un intero ambiente, si ritrova – improvvisamente – in quella solitudine, in quella depressione, in quel disagio di cui aveva parlato anche a me, in modo astratto, durante una delle “notti granata” in Alta Val di Sangro. Da “top player” dello spogliatoio con la sua personalità, con il suo carisma, con la sua esperienza, con il suo curriculum, con il suo spessore anche umano; da riabilitatore di una rosa, probabilmente sopravvalutata per i risultati ottenuti (grazie, soprattutto, alle sue intuizioni tattiche, alle sue iniezioni di autostima e alla sua abnegazione sul campo); da garante delle aspettative della tifoseria; da catalizzatore di ogni attività non agonistica, specie di quelle che coinvolgono i giovanissimi, Sousa finisce per diventare – nello spazio di poche settimane – un personaggio ingombrante, un picconatore, uno che rema contro. Solo perché, in un mondo di ipocriti e di cavalieri serventi, non le manda a dire, non si trincera dietro frasi di circostanza. In altre parole: non fa l’aziendalista, come tanti altri suoi colleghi.
Certo, forse esagera in quest’atteggiamento, senza essere conseguenziale e togliere lui il disturbo prima di venire spazzato fuori dalla panchina. Non molla il suo posto (e il suo contratto), ma perde sempre più riferimenti, sostegni, appoggi, sia interni che esterni.
E smarrisce pure lucidità. Cade ingenuamente in qualche tranello dialettico, scopre nemici anche tra gli amici della grande “famiglia” granata, riceve supporto zero da chi avrebbe dovuto legittimarlo. Subisce un logorio lento ma inesorabile, tra invasioni di campo, dispettucci, talpe, spie, conferenze stampa disgiunte e contraddittorie, ma ci mette pure del suo con posizioni troppo integraliste su moduli di gioco e interpreti e sulle valutazioni dei nuovi acquisti.
I risultati e le prestazioni non lo aiutano e gli scavano la fossa. I corvi che erano già lì, rinfacciandogli di aver flirtato prima dell’estate con il Napoli e di essere stato comunque accontentato dalla proprietà perchè non gli aveva smantellato l’ossatura del gruppo dello scorso anno (ma solo perché nessuno si è fatto avanti, concretamente, per acquisire i cartellini di Dia, Mazzocchi e compagnia…), gli si avventano contro, anche prima che Iervolino lo sollevi dalla guida tecnica.
A Salerno, in cui non solo “tutto è maledettamente più difficile” ma si mostrano sempre due facce (come il nostro patrono San Matteo), adesso si fa a gara a voltargli le spalle, a rinnegarlo, a sminuire quanto ha fatto, dentro e fuori il rettangolo di gioco, per la squadra, la società, i tifosi, l’ambiente in genere.
Non mi accodo. Anzi, proprio ora che sta per iniziare l’avventura granata di Filippo “Pippo” Inzaghi (nei confronti del quale mi approccio, come dovrebbe fare chiunque, senza alcuna prevenzione), gli rinnovo ammirazione come uomo, stima come professionista, rispetto come interlocutore. A retrocedere, senza di lui, non sarà la Salernitana (scommetto, ancora, sulla “nostra” salvezza) ma l’ambizione di poter crescere. “E’ a vida”, mister Sousa! Enrico Scapaticci
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